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DIVINA COMMEDIA - INFERNO - Sinossi - Canti I - XXXIV


CANTO I

Primavera del 1300, il viaggio di Dante nell'oltretomba.

Persa la retta via si ritrova nella selva oscura terrorizzato da una possibile dannazione della sua anima. Quando si allontana dalla vita virtuosa, in un tempo da lui dimenticato e accecato dai suoi peccati istintivi, non riesce più a distinguere il bene dal male. All'uscita dalla selva, vede la sommità del colle (simbolo della purificazione) illuminata dai raggi del sole (simbolo della Grazia) e rincuorato dalla visione,inizia la sua ascesa.
Ma tre belve: (allegorie della lussuria, superbia e avarizia) lo ostacolano nel proseguire e, disperato di non poter raggiungere la vetta, viene sospinto nuovamente verso la valle della perdizione. A questo punto gli appare l'ombra di Virgilio (simbolo della ragione umana e della filosofia) il quale gli annuncia che, per approdare alla meta agognata, d

ovrà seguire un altro percorso, visitando, sotto la sua guida, il regno dei dannati e quello delle anime purganti. Solo così potrà conoscere quello degli eletti e , successivamente, il maestro lo affiderà a una seconda guida, Beatrice (simbolo della fede e della teologia).


 CANTO II


Dante domanda a  Virgilio come mai è stato scelto lui per visitare il regno dell’ oltretomba. Virgilio gli comunica che la scelta della sua salvezza e della sua doverosa missione di raccontare questo percorso, è stato deciso dalle Tre Donne Benedette.

La Vergine Maria, che demanda a Lucia la salvezza di Dante la quale incaricherà Beatrice, l’ unica donna amata in vita da Dante, che lo convincerà a seguirlo e a raccontarlo a noi.
Dante da sempre innamorato di Beatrice, la seguirà e l’ ascolterà comprendendo quanto sia importante essere stato prescelto per un’ impresa così ardua.

CANTO III


Dante pone il lettore di fronte a una realtà: la porta dell'inferno.

Dante si trova in un luogo oscuro e non riesce a vedere ciò che lo circonda, ma sente chiaramente i lamenti delle anime. Questi dannati sono coloro che durante la loro vita non agirono mai nel bene e tanto meno nel male. Gli Ignavi, così definiti da Dante, non possedevano un' idea propria, ma si adeguavano sempre a quella del più forte; tra i peccatori di questa categoria  troviamo anche gli Angeli che non si schierarono durante la battaglia di Lucifero contro Dio.
Dante li considera indegni sia delle gioie del Paradiso, sia delle pene dell'Inferno, a causa della loro incapacità di  schierarsi né a favore del bene, né a favore del male. Costretti a girare nudi per l'eternità inseguono una insegna (che corre velocissima e gira su se stessa ) mentre vengono punti e feriti da vespe e mosconi. Il loro sangue, mescolato alle loro lacrime, viene succhiato da fastidiosi vermi.
Dante definisce queste anime come quelle di peccatori "che mai non fur vivi", poichè la scelta fra Bene e Male, deve obbligatoriamente essere fatta. Nel Medioevo, lo schieramento politico e la vita sociale, erano considerate tappe fondamentali ed inevitabili nella vita di un cittadino. Se l'uomo si fosse sottratto ai suoi doveri verso la società non sarebbe stato degno, secondo la riflessione dantesca, di alcuna considerazione.

CANTO IV


Il poeta si sveglia a inizio del nuovo canto al rumore del tuono portato dall'altra parte del fiume: con quest'evento supera l'ostacolo della condizione di Caronte di non far salire mai anima viva sulla sua barca. Dante si sente confortato e si accorge di essere approdato sulla nuova sponda dei lamenti eterni. Virgilio è angosciato dall' idea di dover entrare nel Limbo, il luogo della sua pena.Qui si trovano i non battezzati privi di colpe, come i bambini nati morti o coloro che nacquero prima della venuta di Cristo. Tra questi, il cui peccato originale fu solo quello di non essere stati battezzati, c' era anche Virgilio, tormentato dall' impossibilità di conoscere Dio per tutta l' eternità. Virgilio lo conduce ad un castello luminoso, al cui interno lo salutano Orazio, Ovidio e Lucano, i tre poeti "privilegiati". il castello rappresenta la nobiltà umana, basata sulle quattro virtù morali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) unite alle tre virtù intellettuali (intelligenza, scienza e sapienza) e il castello rappresenta la scienza; o meglio il castello della filosofia con le sue sette ramificazioni. Per quanto riguarda il fiumicello esso sarebbe un ostacolo alla nobiltà, passato con facilità dai poeti, che potrebbe rappresentare i beni terreni o la vanità o altro. La luce stessa attorno al castello è un simbolo di conoscenza. In un prato verde all'interno delle mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui Enea, Ettore, Cesare, Aristotele, Platone e Cicerone. Dante e Virgilio si allontanano dal Limbo per altra via, fuori dalla quiete dell'aere che trema e dalla luce.


CANTO V


Dante e Virgilio giungono nel secondo cerchio.Qui sta Minosse, giudice infernale che condanna i dannati cingendo la sua coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per ricevere la loro punizione. Minosse, nonostante i lineamenti grotteschi ha un atteggiamento regale e solenne ed è considerato un servitore della volontà divina.Vedendo Dante interrompe il suo compito e gli comunica il pericolo a cui sta andando incontro, entrare è facile ma uscire no. Virgilio lo ammonisce a non ostacolare un viaggio voluto dal Cielo. All' interno del cerchio gli spiriti dei lussuriosi sono trascinati da una tempesta incessante. Paolo e Francesca, amanti infelici uccisi dal marito di lei, raccontano a Dante la loro storia; Francesca: "Un giorno stavamo leggendo per passatempo dell'amore di Lancillotto. Eravamo soli e non sospettavamo niente. Più volte quella lettura ci spinse a guardarci e ci fece sbiancare... ma fu in un punto preciso che vinse la nostra volontà: quando leggemmo il bacio tra Lancillotto e Ginevra, Paolo, che da me non verrà mai diviso, la bocca mi baciò tutto tremante." Dante vinto dall'emozione perde i sensi e sviene.


CANTO VI


Dante che dopo aver parlato con Paolo e Francesca, ancora confuso dalla tristezza e l'angoscia per quegli sventurati, vede nuovi dannati e nuove pene intorno a sé. Il terzo cerchio, custodito dal cane tricipite Cerbero, è quello dei golosi. Cerbero, viene descritto con gli occhi rossi, la barba unta e nera, la pancia gonfia e le mani con unghie affilate con le quali squarta i dannati e con le sue urla li porta alla pazzia . Nella mitologia Cerbero è un simbolo di ingordigia e di discordia, per le lotte tra le sue diverse teste: non a caso nel canto si parla delle discordie fiorentine. Quando Cerbero vede Dante e Virgilio, apre le bocche e mostra loro le zanne. Virgilio distende le mani e getta nelle sue gole, due pugni pieni di terra, che l'animale si affretta a divorare. I dannati stanno sdraiati nel fango sotto un pioggia di neve, grandine e acqua sporca; uno di loro, Ciacco, predice a Dante la vittoria dei Neri fiorentini sui Bianchi.


CANTO VII


Una volta scesi nella quarta fossa, Dante è sorpreso da quello che vede ed esclama: "Giustizia divina! Ma chi ordinerebbe così tante pene e travagli sempre strani e nuovi?". Il quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, il dio greco della ricchezza, è quello degli avari e dei prodighi, condannati a spingere col petto pesanti macigni.  Virgilio spiega a Dante  che si tratta di religiosi, papi e cardinali, macchiatisi della colpa dell'avarizia e proseguono verso la palude dello Stige, in cui sono immersi iracondi ed accidiosi. Qui Dante vede persone nude immerse nel pantano, che si picchiano tra di loro con tutto il corpo: mani, piedi, testa e denti. Virgilio chiarisce presto che si tratta delle "anime di coloro cui vinse l'ira", ma anche sott'acqua è pieno di dannati, gli accidiosi o "iracondi amari" coloro che covarono dentro di sé la propria rabbia e che ora fanno ribollire la palude con i loro tristi pensieri. I primi si percuotono e mordono a vicenda, i secondi giacciono sotto la superficie.


CANTO VIII


Flegiàs traghetta i poeti attraverso lo Stige. Flegias è un personaggio mitologico, simbolo dell'ira violenta e del fuoco. Le sue sembianze non vengono descritte egli rappresenta colui che prende gli iracondi e li getta al centro della palude. Dante sottolinea come la barca sia appesantita dal peso del suo corpo di uomo vivo, mentre Flegias e Virgilio non la fanno nemmeno affossare nell'acqua. Durante la traversata un dannato si rivolge a Dante. I due iniziano un serrato battibecco, il dannato si attacca con le mani alla barca per rovesciarla e viene scacciato con prontezza da Virgilio che lo rassicura Dante abbracciandolo e baciandolo. Dante manifesta il desiderio di vedere quell'anima sprofondare nella palude prima di terminare la traversata, e Virgilio lo loda per il suo desiderio di vendetta. Per la prima volta Dante prova odio e compiacimento per la cattiva sorte altrui, usando un episodio con tratti eccessivi, quasi brutali, rispetto all'affronto di Filippo Argenti. Dante apostrofa violentemente l'odioso fiorentino mentre si intravedono le mura della città di Dite ove si odono i lamenti dei dannati che vi sono rinchiusi. Torri infuocate spuntano dalle mura come minareti e approdano al fossato che le cinge; si apre una porta protetta da una miriade di diavoli. I due poeti sbarcano di fronte alla città infernale di Dite, ma i diavoli che la abitano sbarrano le porte impedendo loro di entrare.


CANTO IX


All'inizio del canto Dante è preoccupato perché vede tornare Virgilio sconsolato dal colloquio con i diavoli, i quali in risposta alle parole del "duca"gli sbattono la porta delle mura della città di Dite in faccia. Virgilio è vago, e si ferma ad aspettare qualcosa, vuole oltrepassare le mura della città e non vede l'ora che arrivi colui che ha sollecitato. Dante, pieno di paura perché non vede via d'uscita, chiede a Virgilio se sia mai arrivato in fondo all'Inferno. Virgilio risponde che è una cosa molto rara, ma che egli stesso è sceso fino al cerchio più stretto, il nono e prosegue la conversazione spiegando come sia normale incontrare resistenza alle mura di Dite, ma Dante ormai non lo ascolta più attratto da un'altra visione sconvolgente. Sulle torri delle città appaiono le Erinni, che chiamano Medusa affinché tramuti Dante in pietra. Tre furie infernali, con corpi femminili e circondate da serpenti verdi avvinghiati alle tempie. Sono le serve di Persefone, la regina dei lamenti eterni dell'Inferno: Magera, Aletto e Tesifone. Come le donne ai funerali esse si disperano, graffiandosi il petto e battendo i palmi delle mani.

Le Erinni si precipitano minacciose verso i due e Virgilio intima Dante a chiudere gli occhi proteggendolo con la sua mano le pupille del discepolo. Intanto "sopra al velame"  proviene un fracasso che fa fuggire pecore e pastori, così Dante vede, liberato dalla protezione di Virgilio, uno che sale dalla palude senza bagnarsi. Le anime dei dannati fuggono alla sua presenza e questo essere miracoloso procede imperterrito scacciando i fumi che ha davanti. Non si preoccupa di niente, solo i vapori gli disturbano la sua vista  e Dante lo riconosce come  l'angelo o messo celeste. Esso tocca la porta e l'apre con la verghetta, mentre rimprovera i diavoli in cerca di riparo. I due poeti a questo punto non trovano più nessun ostacolo per entrare in città.  All'interno delle mura, gli eretici giacciono in sepolcri infuocati posti in una pianura sconfinata.

CANTO X


Nel canto precedente l'arrivo del messo di Dio aveva aperto l'ingresso alla città di Dite ai due viandanti.

Una distesa di sepolcri si presenta dinnanzi a loro dove vengono puniti tutti coloro che  non credono nell'immortalità dell'anima (gli epicurei o atei). Essi, morti tra i morti, non possono vedere nel presente e nel passato ma vedono soltanto il futuro; uno dei dannati, Farinata degli Uberti, riconosce Dante e lo chiama a sé; egli avverte il poeta che il suo ritorno a Firenze sarà molto travagliato. Da un altro sepolcro Cavalcante de' Cavalcanti che emerge dall'avello unicamente con la testa e chiede a Dante perchè egli ha avuto il privilegio del viaggio ultraterreno per meriti dell'ingegno mentre suo figlio Guido no. Dante risponde che Guido non amò la ragione, per i quali l'amore, figlio dei sensi, era fonte di impulsi irrazionali e agonia del desiderio. Cavalcante pensa che il figlio sia morto e dato che Dante esita nella risposta, ricade supino nel sepolcro e sparisce dalla scena per la disperazione. I due poeti riprendono il cammino.

CANTO XI


Dal cerchio degli eretici, i due poeti si affacciano al baratro infernale, l'odore nauseabondo è così forte che si ritraggono subito inorriditi. Decidono di  aspettare un po' affinché il naso si abitui all'odore, nel frattempo Virgilio spiega a Dante la struttura del basso inferno. Esso è formato da tre cerchi, in cui si puniscono rispettivamente i violenti, i fraudolenti e gli incontinenti.  Il prossimo cerchio è occupato dai violenti: in ordine di gravità.

Violenti contro gli altri e le sostanze degli altri (tiranni, omicidi, rapinatori, predoni...
Violenti contro sé stessi e contro le proprie sostanze (suicidi e scialacquatori)
Violenti contro Dio e contro la natura (bestemmiatori, sodomiti e usurai)
Questi ultimi sono coloro che stanno fuori dalla città di Dite, data la minore gravità del loro peccato; i due viaggiatori si trovano invece dove sono punite le altre due categorie.

CANTO XII


All'inizio di questo canto i poeti riprendono il cammino e si affacciano su una frana, che a Dante ricorda un'analoga "ruina" e nota, per quanto scosceso, come sia possibile scenderlo. Qui incontrano il Minotauro, descritto come un mostro macinato dalla sua stessa ira, che lo porta a mordersi così come facevano gli iracondi nello Stige. La bestia si infuria alla loro vista, ma come i tori che saltellano dopo aver ricevuto un colpo mortale, esso non può che sbandare qua e là senza senso, mentre Virgilio suggerisce di sgattaiolare via. Virgilio indica a Dante l' approssimarsi alla "riviera di sangue" dove sono bolliti i violenti verso il prossimo. Siamo nel primo girone del settimo cerchio, custodito dai Centauri. Qui i violenti giacciono nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente. Una schiera di centauri armati di frecce vanno a caccia come erano soliti farlo nel mondo dei vivi. Virgilio chiede di parlare con Chirone e  di concedere loro uno di questi centauri , perché porti Dante in groppa e faccia guadare il fiume, poiché egli non è uno spirito che può volare. La preoccupazione di Virgilio sta nel bisogno di attraversare il sangue bollente senza che Dante ne venga ferito. Nesso quindi fa da guida ai due pellegrini, illustrando le anime immerse fino agli occhi, i tiranni che fecero violenza sia contro le persone che contro i beni delle persone e mostra a Dante alcuni dei dannati, tra cui Alessandro Magno, Guido di Monfort, Attila e Pirro.


CANTO XIII


Nel secondo girone, custodito dalle Arpie, stanno i violenti contro se stessi, ovvero i suicidi, tramutati in piante, e gli scialacquatori, inseguiti e morsi da cagne affamate. Dante strappa un ramoscello da una pianta, che comincia a parlare: è Pier delle Vigne, che prega Dante di riabilitare la sua memoria Non ci sono sentieri o piante verdi ma di colore scuro, non rami dritti ma nodosi e contorti, nessun frutto ma solo spine avvelenate. Qui, dice il poeta, le Arpie fanno i loro nidi: esse, hanno corpo di uccello e volto umano, ed emettono strani lamenti.  È la selva dei violenti contro se stessi, suicidi e scialacquatori. Per Dante la violenza contro se stessi è più grave della violenza contro il prossimo. Si tratta quindi di uomini trasformati in piante, un decadimento verso una forma di vita inferiore, pena principale dei dannati di questo girone. Essi hanno rifiutato la loro condizione umana uccidendosi e per questo non sono degni di avere il loro corpo.Virgilio lo invita a troncare un rametto da una pianta perché la sua idea venga confutata. Il tronco, adescato dalle dolci parole, non può tacere e spera di non annoiarli se li "invischierà" un po' con i suoi discorsi. L'anima finalmente si presenta: egli è colui che tenne entrambe le chiavi del cuore del Re (quella dell'aprire e del chiudere, ovvero del sì e del no) e che le girò aprendo e chiudendo così soavemente da diventare l'unico partecipe dei segreti del sovrano; ma l'invidia mise gli occhi su di lui e infiammò contro di lui tutti gli animi. Giurando sulle nuove radici del suo legno, egli proclama la sua innocenza, e se qualcuno di loro (dei due poeti) tornasse nel mondo dei vivi, il tronco prega di confortare lassù la sua memoria, ancora abbattuta del colpo che le diede l'invidia. Il dannato in questione è Pier delle Vigne. Virgilio, su richiesta di Dante, chiede quindi come le anime si trasformino in piante e se alcuna di esse si divincoli mai da tale forma. "Brevemente vi sarà risposto: quando l'anima feroce del suicida si separa dal corpo dal quale essa stessa si è distaccata con la forza, Minosse (il giudice infernale), la manda al settimo cerchio ("foce"), dove cade nella selva e lì nasce un ramoscello che diviene poi un arbusto: le Arpie mangiando le sue foglie gli arrecano dolore e il dolore si manifesta in lamenti . Poi Pier delle Vigne racconta come, dopo il Giudizio Universale, le loro anime trascineranno i corpi nella foresta appendendo ciascuna al suo tronco, senza riunirsi con essi poiché non è giusto riprendere ciò che ci si è tolti . L'idea del bosco dove penzolano macabramente i corpi dei suicidi è una delle più cupe rappresentazioni dell'Inferno. I due poeti sono ancora in attesa di altre parole dal tronco quando la scena cambia improvvisamente. Si sentono rumori di caccia ed ecco che dal lato sinistro Dante vede due anime nude e piene di graffi che scappano per la selva ma vengono raggiunti da una schiera di cagne nere, che lacerano il secondo a brandelli, portando via le sue membra dolenti. I due fuggiaschi braccati, sono due violenti contro i loro beni, che distrussero con leggerezza le loro proprietà, i cosiddetti "scialacquatori" che distrussero le proprie sostanze e che, per analogia, vengono fatti a pezzi da cagne fameliche. .La differenza tra il peccato degli scialacquatori e quello dei prodighi sta nelle intenzioni: i primi avevano scopi distruttivi (si cita sempre l'esempio di Jacopo che aveva dato a fuoco le proprie case per diletto), mentre i secondi non sapevano contenere la loro indole a spendere, desiderando solo accumulare beni con rapacità. I suicidi sono trasformati in piante, forma di vita inferiore, perché essi hanno rifiutato la loro condizione umana uccidendosi: perciò non sono degni di avere il loro corpo. Perfino dopo il Giudizio Universale essi saranno i soli a non rientrare nel proprio corpo, ma lo trascineranno e lo appenderanno ai loro rami. La questione del sangue e delle ferite è solo un accrescimento della pena o semmai va intesa come il fatto che essi, che versarono il proprio sangue, ora lo vedono versato per mano altrui.


CANTO XIV



Dante e Virgilio arrivano al confine tra i due cerchi dove vedono la tremenda mano della giustizia che punisce senza deroga i nuovi dannati. Qui c'è una landa senza vegetazione, alla quale la selva dei suicidi fa da "ghirlanda", come ad essa lo fa il fosso del Flegetonte ( il fiume di sangue bollente). Qui i poeti si fermano sull'orlo della spiaggia a descrivere le anime punite: esse sono nude e molto numerose; tutte piangono ma non tutte seguono una stessa legge. Alcune infatti giacciono supine, le più tormentate, rappresentate dai bestemmiatori, altre son sedute, gli usurai, altre ancora, più numerose, corrono senza sosta, i sodomiti.  Il tutto è coronato da una continua pioggia di fuoco per coloro che andarono contro le leggi naturali. Nell'Inferno la sabbia prende fuoco facilmente e raddoppia la pena del dannati, bruciati dall'alto e dal basso.  Dante si rivolge quindi a Virgilio e gli chiede chi sia quella grande figura (grande nel fisico o grande di animo?) che pare non si curi dell'incendio e sta sdraiata sprezzante e torvo come se la pioggia non lo martirizzasse. E quest'uomo sdraiato, accortosi che si parlava di lui, grida: (parafrasi) "Io sono da morto quello che ero da vivo (un bestemmiatore). Questo anatema gridato senza fiato è colmo di ira contro la divinità, peccato per il quale viene punito. Virgilio, dopo aver sentito l'imprecazione, si rivolge allora furente contro il dannato: (parafrasi) "Capaneo, la tua punizione sta proprio nella tua superbia implacabile e nella tua continua rabbia che sono adeguate al tuo peccato. La bestemmia per Dante quindi, non consiste nell'accidentale imprecazione, ma in un disprezzo intimo della divinità e nel misconoscimento della sua superiorità. Virgilio allora intima a Dante di seguirlo, facendo ben attenzione a non toccare la sabbia con i piedi, ma a rimanere sul ciglio del bosco. Arrivano quindi dove sgorga un "picciol fiumicello" rosso di sangue,  Dante nota la presenza di argini in pietra e Virgilio gli fa notare come sia cosa mirabile che le fiamme si spengano a contatto con i vapori del fiume. Dante però sembra non capire (non capisce che si tratta dell'emissione del Flegetonte). Il "duca" allora inizia una lunga spiegazione allegorica sul cosiddetto "Veglio di Creta" per spiegare l'origine dei fiumi infernali. Segue una descrizione del veglio. Questo essere ha la testa d’ oro fino, le braccia e il petto d’argento e il busto fino all’inguine di rame. Le gambe sono di ferro, compreso il piede sinistro, mentre quello destro è di terracotta e proprio su questo piede più fragile esso si appoggia di più. Da ogni parte, tranne che da quella d'oro, si aprono fessure che gocciolano lacrime, che raccolgono poi ed escono dalla grotta sotto forma di fiume. Questo fiume poi scende roccia per roccia e forma l’Acheronte, lo Stige e il Flegetonte; poi scendono ancora e confluiscono nel Cocito, dove più non si può scendere (Dante immagina lì il centro della terra). Le varie sezioni del Veglio rappresenterebbero le epoche della civilizzazione. Da un'epoca aurea, da dove non sgorgano lacrime, cioè priva del peccato, si passa a regni via via meno virtuosi e più fragili, fino ai due piedi che rappresenterebbero l'epoca contemporanea. La loro divisione sarebbe quella tipica del mondo dantesco tra potere papale e imperiale: L'Impero sarebbe il piede di ferro, ancora forte ma poco presente, perché ormai ci si appoggiava più all'altro piede, quello del papato, più debole perché d'argilla, ma più potente. Il vecchio, corrotto da innumerevoli fratture si specchierebbe in Roma, anch'essa dominata dalla corruzione. Dante chiede a Virgilio perché se questo fiume giunge dal mondo dei vivi lo incontrano solo ora, e lui risponde che fino ad allora essi sono scesi sempre verso sinistra, ma ancora non hanno fatto un giro completo. Poi Dante chiede dove siano il Flegetonte e il Lete non citati prima, e il maestro risponde che il bollore dell'acqua del fiume rosso avrebbe già dovuto essere di risposta alla sua domanda; mentre per quanto riguarda il Lete Dante lo vedrà sì, ma fuori dalla fossa infernale perché è il luogo dove "l'anime vanno a lavarsi / quando la colpa pentuta è rimossa” è in Purgatorio.


CANTO XV


Sopraggiunge una schiera di violenti contro Dio nella natura, cioè di sodomiti. Tra di loro c'è l'antico maestro di Dante, Brunetto Latini, che raccomanda a Dante la propria opera letteraria, il "Tesoro", e gli preannuncia le sue future sofferenze.Dante e Virgilio stanno camminando su uno dei due argini di pietra del fiume Flegetonte, unica zona del girone a non essere tormentata dalle fiamme, quello dei violenti contro Dio e contro la natura, i sodomiti. I vapori che il fiume sprigiona spengono le fiammelle. Essi corrono nudi senza sosta sul "sabbione" infuocato e sono i peccatori più numerosi del girone. La sodomia era proverbialmente diffusa a Firenze e in questo girone Dante incontrerà per due volte dei concittadini con cui avrà un colloquio. In ogni caso il "peccato" va considerato nella più ampia delle concezioni: non soltanto rapporti omosessuali, ma anche eterosessuali, e non vi era distinzione tra chi vi prendeva parte attivamente o passivamente (in questo senso anche una donna, se accondiscendente, poteva essere accusata di sodomia). Un dannato riconosce Dante e con molta familiarità lo prende per un lembo dell'abito e grida "Qual maraviglia!".  Il poeta, nonostante l'aspetto orribilmente bruciacchiato del dannato, lo riconosce è Brunetto Latini e gli si rivolge con la confidenza tipica di chi è in familiarità: "Siete voi qui, ser Brunetto?". Egli, che fu maestro e fonte di sapienza per Dante, gli chiede ora nell'Inferno se non gli dispiaccia fare insieme un po' di strada.  Brunetto si affretta allora a spiegare che i dannati come lui non possono mai fermarsi, pena l'immobilità per cento anni sulla sabbia infuocata. Dante allora capisce e procede tenendo il capo chino, guardandosi bene dallo scendere nella landa colpita dalla pioggia infuocata. Brunetto inizia chiedendo cosa ci faccia da vivo nel regno dei morti e chi sia la sua guida. Dante risponde parlando di come si sia smarrito "per una selva oscura" prima che la sua età fosse piena, appena un giorno prima. Lì Virgilio gli apparve e lo condusse in questo viaggio prima di riportarlo a casa .Brunetto annuisce a Dante e gli dice che se avesse saputo che il suo compito era così importante, prima di morire lo avrebbe aiutato con i suoi insegnamenti, lodandolo come discepolo ed esortandolo a perseverare nella via della virtù. Dante, continuando a camminare accanto a Brunetto, gli chiede di mostrargli alcuni dei suoi compagni di pena più noti e importanti. Brunetto, che specifica come non possa dirli tutti per questioni di tempo, dice che si tratta di letterati e uomini di Chiesa (almeno quelli della sua schiera), tutti macchiatisi dello stesso "lercio" peccato. Brunetto vorrebbe dire di più, ma la sua permanenza e il suo parlare non possono essere più lunghi, perché arriva un'altra schiera in corsa che alza fumo sul sabbione, con i quali non deve mescolarsi.  Si gira e scappa via.


CANTO XVI


Dante è riconosciuto da tre fiorentini, che gli chiedono se sono vere le brutte notizie su Firenze apprese da un dannato appena arrivato all'inferno, Guglielmo Borsiere; Dante risponde con un'aspra invettiva contro la corruzione della propria città. Proseguendo nel viaggio, i due poeti arrivano all'abisso in cui precipita il Flegetonte, e vedono salire da esso un orribile mostro: Gerione, custode dell'ottavo cerchio dell'Inferno dove vengono puniti i fraudolenti ed è esso stesso simbolo di frode. Gerione impesta il mondo, valica le montagne e supera le mura difensive con la sua coda aguzza. Ha il corpo di serpente e due zampe leonine coperte di pelo fino alle ascelle. Schiena, petto e fianchi sono caratterizzati da squame colorate che creano ruote e nodi. La coda di scorpione guizza nell'aria minacciando la sua punta avvelenata, simbolo del tradimento alle spalle. Dante è impressionato dalla sua coda pericolosa.  


CANTO XVII


Gerione custodisce il terzo girone, quello dei violenti nell'arte, cioè usurai, seduttori e adulatori. I primi siedono al limite del deserto, presso l'abisso, con al collo delle borse recanti lo stemma della loro famiglia. Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione che li porta al fondo dell'abisso.Il poeta latino è già salito sulla bestia fiera e sprona Dante a fare altrettanto. Gli suggerisce però che Virgilio stia dietro per interporsi rispetto alla pericolosa coda avvelenata. Dante al solo pensiero raggela e trema al solo vedere l'ombra, ma vergognandosi della sua paura davanti al maestro sale come gli è stato detto. Vorrebbe dire a Virgilio di abbracciarlo da dietro, quindi Virgilio intima: " Gerione (ecco che il nome della belva viene pronunciato per la prima volta), parti! E fai curve larghe scendendo poco per volta, pensando a quesa nuova soma che porti". Via via che Dante si avvicina al fondo i sensi tornano a farsi presenti: sente il suono della cascata e poi ha anche il coraggio di sporgere la testa per vedere i fuochi dei gironi sottostanti e sentendo i nuovi pianti ha un fremito che lo fa aggrappare di nuovo stretto alla bestia. Vede i cerchi inferiori (le bolge...) e Gerione atterra in fondo al precipizio e dopo aver scaricato i due si dilegua come freccia spinta dalla corda dell'arco.


CANTO XVIII


Si giunge all'ottavo cerchio, "Malebolge" (sacche del male): è un pozzo diviso in dieci bolge concentriche. Nella prima ci sono i ruffiani, tra cui Giasone; nella seconda i seduttori e gli adulatori, tra cui Alessio Interminelli e la cortigiana Taide.I dannati sono nudi (condizione che Dante ripete solo quando vuole sottolinearne la miseria) e stanno sul fondo della "bolgia". Essi si muovono in due file, una che scorre verso Dante lungo il perimetro esterno e una che gira radente alla parete interna nella sua stessa direzione e a passo più sostenuto. Sui massi attorno al fossato Dante vede dei diavoli che con lunghe fruste colpiscono i dannati sulla schiena e sulle natiche, con una pena che è più umiliante che dolorosa e che richiama le pene ingiurianti che nel medioevo si infliggevano ad alcuni rei. In questa masnada Dante riconosce un dannato tra quelli che hanno il volto girato verso dove sta lui ora, sul ciglio del fossato nell'atto di iniziare a attraversare il ponticello.  Dante arretra un poco per scorgere meglio di chi si tratti. Il dannato si accorge di essere al centro dell'attenzione e si nasconde il volto abbassando il viso vergognosamente. Il tema della vergogna di trovarsi in tale luogo è uno dei sentimenti salienti delle Malebolge. Virgilio dice di girarsi anche a vedere la seconda schiera di dannati che gira nell'altro senso. In quella fila di dannati il maestro indica un grande che viene incontro e che mantiene un aspetto da re senza piangere nonostante il bruciante dolore. Si tratta di Giasone, il protagonista del recupero del Vello D’oro nella spedizione degli Aogonauti. Colui che passò da Lemno, dove le donne avevano ucciso tutti gli uomini; ingannando Ipsipile e seducendola abbandonandola gravida; per tale colpa è condannato a questo martirio che fa inoltre vendetta a Medea, anch'ella sedotta e abbandonata da Giasone. Infine, in questa rapida carrellata di dannati di questo canto, Virgilio richiama l'attenzione di Dante su una dannata "sozza e scapigliata", che"si graffia con l'unghie merdose" e si alza e siede continuamente senza trovare pace. Essa è Taide, la "puttana" che al suo amante (drudo) quando egli le chiese se avesse grazie presso di lei, essa gli rispose "Maravigliose", eccedendo in lusinghe. E’ la prima peccatrice donna che si incontra nell'Inferno dai tempi del cerchio dei lussuriosi dove pure comparivano alcune figure femminili. Essa è l'unica prostituta nominata all'Inferno ed è significativo come non sia stata punita per la lussuria ma per l'adulazione.


CANTO XIX


Nella terza bolgia i simoniaci, coloro che preferirono guardare alle cose terrene piuttosto che a quelle celesti. Si presentano conficcati a testa in giù nella pietra e lingue di fuoco bruciano le piante dei loro piedi. Dante ne interroga uno, papa Niccolò III; questi scambia il poeta per Bonifacio VIII, che dovrebbe prendere il suo posto nella buca spingendolo più in basso, ed inveisce contro di lui.Dante è subito attratto da una fossa dove il dannato scalcia più degli altri ed ha una fiamma più rossa degli altri; Virgilio si offre di accompagnarcelo: si scoprirà presto che quella è la fossa riservata nientemeno che ai papi.  Dante pronuncia un discorso contro i papi simoniaci."Dimmi dunque, quanti soldi chiese Nostro Signore da San Pietro prima che gli desse le chiavi? Solo un 'Vienimi dietro'; quando gli offrirono il posto dell'anima malvagia di Giuda; Perciò ti sta bene che tu venga ben punito; per non parlare dei soldi ingiustamente rubati, che ti misero contro Carlo l' Ardito. Se parlo così è per reverenza delle somme chiavi di pontefice che tenesti in vita, perché dovrei usare parole anche peggiori; la vostra avidità rattrista il mondo, schiaccia i buoni ed eleva i malvagi.Terminata l'orazione, che il papa dannato ha ascoltato in silenzio contorcendo talvolta le gambe con maggiore energia per la rabbia o per il rimorso, Dante è rincuorato dall'espressione accondiscendente di Virgilio, il quale, come simbolo della Ragione, ha gradito la professione di "verità" del suo discepolo. Il maestro solleva quindi Dante e lo riporta sul sentiero sopra il fossato.


CANTO XX


Dante e Virgilio stanno percorrendo le Melebolge, ovvero i 10 fossati nei quali sono punite le varie categorie dei fraudolenti, cioè coloro che tradirono il prossimo che sarebbe stato portato a non fidarsi (a differenza dei traditori veri e propri che ingannarono chi di loro si fidava per parentela, amicizia o altri legami sociali). Il poeta pellegrino si affaccia quindi alla nuova bolgia dal ponticello che sta attraversando, e la vede bagnata del pianto dei dannati. Nota la gente che silenziosa e piangente va al passo delle processioni. Solo dopo aver guardato meglio si accorge che ognuno ha il collo e il viso girati dalla parte delle reni. Essi devono quindi camminare all'indietro perché non possono guardare avanti: Dante dice che forse alcuni casi di paralisi possono provocare tali danni, ma lui non ha mai assistito a casi simili e non crede che sia possibile. Così piange per pietà verso questi esseri sfregiati, il cui pianto gocciola giù nella fessura tra le natiche, immagine grottesca e umiliante. Virgilio riprende severamente Dante che sta lacrimando appoggiato a una roccia dandogli dello sciocco. "La pietà qui all'Inferno è morta, non serve disperarsi per i dannati." Virgilio invita dunque il suo discepolo a drizzare la testa per guardare chi sono quei dannati. ll primo che viene indicato è Anfiarao, uno dei sette re di Tebe che prevedendo la propria morte si nascose prima del suo assedio,  il secondo è Tiresia, il mago che venne dannato per aver separato due serpenti in accoppiamento e poté riprendere le sembianze maschili solo ripercuotendoli con la stessa verga. Non è chiaro perché Dante nella lunga leggenda di Tiresia citi solo la parte dei serpentelli nell'episodio di transessualità, senza alludere alla diatriba tra Giove e Giunione che Tiresia seppe dirimere dando ragione a Giove  Da questo episodio il Re degli Dei gli concesse allora l'occhio interno che gli permetteva di vedere nel futuro. Segue infine la descrizione di Arunte, leggendario indovino etrusco che predisse la vittoria di Cesare. Virgilio lo descrive come quello che ha il ventre come terga e che ebbe la sua dimora in una spelonca nei monti di Luni.In questo canto il contrappeso è tagliato sulla figura degli indovini, coloro che, come spiega lo stesso Dante, "vollero veder troppo avanti" e ora sono costretti a guardare solo indietro. Essi sono tra i fraudolenti per aver messo in atto delle mistificazioni oggetto di colpa in due sensi. La prima è quella di aver adulterato l'ordine divino tramite il loro operato, sconvolgendo e influenzando cose concepite in natura come inintelligibili e la seconda colpa è quella dei "falsi" indovini, che giustificarono con la menzogna le azioni dei potenti, proclamandole come prescritte dal volere divino. 


CANTO XXI


Nella quinta bolgia i diavoli Malebranche tormentano i barattieri che nel lessico giuridico del Medioevo indicavano generalmente gli imbroglioni che arraffavano denaro sottobanco o ottenevano altri vantaggi con la furbizia e quindi, più nello specifico, anche i concussori o magistrati corrotti e come in vita agirono al coperto ora sono immersi nel buio della pece bollente. Virgilio chiede di parlare con un diavolo; si fa avanti Malacoda, al quale Virgilio spiega il motivo del viaggio di Dante. Malacoda gli fornisce una scorta di dieci diavoli.Virgilio fa nascondere Dante «acquattato» dietro a una roccia dicendogli di non preoccuparsi per lui: non gli accadrà niente perché conosce la strada e l'ha già fatta (Dante ha immaginato che Virgilio avesse già disceso l'Inferno poco dopo la sua morte). Virgilio attraversa quindi il ponte e arrivando sul sesto argine (che divide la quinta bolgia dalla sesta) sta con la fronte alta come ostentando sicurezza, così Virgilio si trova circondato dai diavoli usciti da sotto il ponte. Chiede di poter parlare prima di essere afferrato, al che i diavoli chiamano in coro Malacoda, il capitano di questa "truppa" di diavoli e si presenta a Virgilio dicendo "A che pro?". Virgilio, chiamando il diavolo per nome, gli spiega che se sono giunti fin laggiù, al sicuro da tutti gli ostacoli infernali, come può egli credere che non sia stato per «voler divino e fato destro»? Virgilio stupisce il diavolo con la sua missione divina e Malacoda con un gesto plateale fa cadere l'uncino sbalordito e si raccomanda agli altri diavoli che essi non feriscano i due. Virgilio chiama Dante, che sgattaiola dal suo nascondiglio e si affretta a raggiungere il suo maestro e i diavoli si stringono loro intorno. Questo pittoresco corteo, che si può solo immaginare dai nomi e dai vari aggettivi che Malacoda attribuisce ai diavoli, si sistema quindi a mo' di truppa militare in procinto di partire.


CANTO XXII


Il barattiere Ciampolo di Navarra rivolge la parola a Dante; i diavoli tentano di uncinarlo, ma egli fugge tuffandosi nella pece. Due diavoli, Alichino e Calcabrina, si azzuffano rinfacciandosi la mancata preda e cadono nella pece. Dante e Virgilio approfittano del trambusto per fuggire.


CANTO XXIII


Con i diavoli alle calcagna, Virgilio prende Dante in braccio e si cala nella sesta bolgia, dove gli ipocriti camminano sotto pesanti cappe di piombo dorato. Crocifisso a terra c'è Caifa.


CANTO XXIV


Nella settima bolgia i ladri sono continuamente assaliti da torme di serpenti; tra essi Vanni Fucci, che con rabbia predice a Dante la sconfitta dei Bianchi e l'esilio futuro.


CANTO XXV


Vanni Fucci rivolge a Dio un gesto osceno; immediatamente un serpente lo immobilizza e sopraggiunge il centauro Caco. I due poeti assistono a numerose trasformazioni di ladri in serpenti e di serpenti in ladri.


CANTO XXVI


Dante pronuncia una nuova invettiva contro Firenze, poi lui e Virgilio passano nell'ottava bolgia, dei consiglieri fraudolenti; essi vagano senza riposo avvolti da una fiamma. In una fiamma biforcuta sono avvolti due dannati, Ulisse e Diomede; il primo racconta la storia del suo ultimo viaggio e della sua morte.


CANTO XXVII


(Dante incontra l'anima di Guido da Montefeltro, che un diavolo disputò con successo a S. Francesco).Dopo le parole di Ulisse, un’altra fiamma attira i due poeti, muovendosi. Chiede notizie sulla Romagna. Dante fa un quadro della situazione politica della regione, dominata da  uomini pronti alla guerra. L’anima si fa riconoscere dicendo: "Fui guerriero e poi frate , credendo così di riparare  al male creato. Ma la sua conversione era stata soltanto formale, dettata  dalla convenienza, il cordiglio francescano non aveva cinto un uomo nuovo. Alla sua morte San Francesco venne per portarlo in cielo, ma il diavolo lo fermò con queste parole: "Quest’anima deve seguirmi all’inferno, poiché è contraddittorio che ci si possa pentire di una colpa che si ha l’intenzione di compiere. Quando fu davanti a Minosse, questi girò otto volte la coda intorno al suo corpo, destinandolo  al cerchio ottavo. Dopo la converasazione, la fiamma si fa indietro e Dante giunge al ponte che domina la bolgia dei seminatori di discordia.


CANTO XXVIII


Nella nona bolgia stanno i seminatori di discordia, mutilati dalla spada di un diavolo. Tra essi ci sono Maometto e Bertrando del Bornio, che cammina tenendo in mano la sua testa mozzata.


CANTO XXIX


Dopo l'incontro con Geri del Bello, un parente di Dante, i due poeti passano nella decima bolgia, quella dei falsari; tra essi gli alchimisti sopportano scabbia e lebbra.


CANTO XXX


La rabbia colpisce invece i falsatori della persona, tra cui Gianni Schicchi e Mirra. Seguono poi i falsari di moneta colpiti dall'idropisia: tra essi Mastro Adamo. Infine i falsatori di parola, che sopportano la febbre: Dante scorge in mezzo a loro l'anima del greco Sinone.


CANTO XXXI


Custodi del nono cerchio sono i Giganti, incatenati ed immersi fino alla vita nel pozzo infernale. Anteo però è slegato e può prendere in mano i viaggiatori e depositarli sul fondo, costituito dal lago ghiacciato di Cocito.


CANTO XXXII


Cocito è diviso in zone: nella Caina i traditori dei parenti stanno immersi nel ghiaccio fino al capo, tenuto abbassato; nella Antenora i traditori della patria hanno invece il capo rivolto in alto: tra essi Bocca degli Abati e Gano di Maganza. Dante vede un dannato che rode la testa di un altro, e chiede a Bocca il nome di entrambi.


CANTO XXXIII


Il dannato che rode la testa all'altro è il conte Ugolino della Gherardesca, la sua vittima l'arcivescovo Ruggeri. Dante e Virgilio passano poi nella zona detta Tolomea, dove i traditori degli amici tengono il capo talmente all'insù che le lacrime gli si congelano sugli occhi: tra essi frate Alberigo e Branca Doria.


CANTO XXXIV


L'ultima zona di Cocito è la Giudecca, dove i traditori dei benefattori sono completamente immersi nel ghiaccio. Ora Dante e Virgilio sono di fronte a Lucifero, infisso nel ghiaccio dalla vita in giù. Esso ha tre teste, e ciascuna delle tre sue bocche dilania un peccatore: la prima Giuda, la seconda Bruto, la terza Cassio. I due poeti si aggrappano al corpo di Lucifero e lo ridiscendono, passando nell'emisfero terrestre meridionale. Attraverso uno stretto budello riescono a ritornare in superficie in corrispondenza degli antipodi.











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